Il disegno di legge delega della riforma fiscale introduce principi che evitano la doppia tassazione delle persone fisiche nell’anno del trasferimento di residenza anagrafica e fiscale.

L’articolo 3 del disegno di legge delega sulla riforma del sistema fiscale (d.d.l. n. 111/2023) in discussione alla Camera dei deputati prevede, finalmente ed opportunamente, una revisione della disciplina interna in tema di residenza fiscale delle persone fisiche, al fine di renderla coerente con i principi convenzionalmente accettati a livello internazionale dai Paesi OCSE, soprattutto in relazione alle nuove forme di lavoro da remoto, nonché per adattare tali principi con le regole delle agevolazioni fiscali per chi si trasferisce in Italia.

Uno dei temi maggiormente sentiti dagli operatori del diritto tributario internazionale, per le sue ricadute pratiche sovente foriere di situazioni di “doppia imposizione” riguarda i trasferimenti di residenza in corso d’anno, quando non vi è coincidenza in merito alla nozione di residenza fiscale nelle diverse norme interne, ovvero quando i due Stati abbiano stabilito periodi di imposta che, non terminando nel medesimo giorno dell’anno solare, si sovrappongono.

La doppia imposizione nei trasferimenti di residenza

La normativa interna italiana (art. 2, co. 2 del TUIR), infatti, considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni, siano iscritte alle anagrafi della popolazione residente, o abbiano nel territorio dello Stato il proprio domicilio o la propria residenza. Questo comporta che, esemplificando, una persona che si trasferisca in Italia il 28 giugno da uno Stato che, per norma interna, considera fiscalmente residenti le persone fisiche sino al giorno di effettivo trasferimento all’estero, indipendentemente quindi dalla permanenza per più o meno di 183 giorni (regola del c.d. “Split year”), potrebbe essere considerata, per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 28 giugno dell’anno del trasferimento, fiscalmente residente sia in Italia che nello stato di provenienza, con il rischio di subire una doppia imposizione.

La predetta situazione si complica oltremodo, ove lo stato di provenienza adotti il periodo di imposta non coincidente con l’anno solare: si pensi al Regno Unito, laddove per quest’ultimo il periodo di imposta fiscale termina il 5 aprile di ogni anno. Nella pratica, la risoluzione del conflitto di residenza mediante applicazione dei criteri convenzionali è sostanzialmente impossibile, comportando fenomeni di gravosa doppia imposizione giuridica.

Le Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni conformi al modello OCSE (OECD), infatti, dopo aver affidato agli ordinamenti interni dei due Stati il compito di definire i requisiti sulla cui base una persona può essere considerata ivi fiscalmente residente, all’articolo 4 intervengono stabilendo una serie di criteri (c.d. “tie break rules”) volti a dirimere i c.d. conflitti di residenza, ovvero le situazioni nelle quali entrambi gli Stati potrebbero invocare la residenza fiscale della persona. Tuttavia, tali principi sono stati elaborati per individuare quale dei due Stati sia da qualificarsi come Stato della fonte del reddito o come Stato di residenza del soggetto, quando tale soggetto abbia criteri di collegamento con entrambi gli Stati in via concorrente in quanto dimorante o con interessi vitali in diversi territori. Essi, quindi, non sono idonei a dirimere le questioni in ordine ai conflitti di residenza fiscale causati dalla sovrapposizione dei periodi nell’anno del trasferimento in seguito all’applicazione non bilaterale dello Split year, o dai casi di non coincidenza dei periodi di imposta rispetto all’anno solare.

La clausola dello Split year

Lo Split year è stato introdotto in sede di convenzioni internazionali unicamente nel Commentario al modello OCSE e non inserito nel modello di Convenzione, causa la resistenza di alcuni Stati membri rispetto alla sua adozione generalizzata. Il Commentario (al paragrafo 2 dell’art. 4) suggerisce, appunto, di adottare il criterio del frazionamento del periodo di imposta nell’anno del trasferimento fisico di una persona, la quale risulterà quindi fiscalmente residente nello Stato di provenienza sino alla data di partenza, e residente nell’altro Stato per la restante parte del periodo d’imposta. L’Italia, tuttavia, ha recepito tale criterio solo nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate con Germania e Svizzera, mentre, per gli altri Stati si attiene al principio generale dell’art. 2 comma 2 del TUIR.

Dopo anni di sporadici interventi sul tema, nei primi mesi di quest’anno, l’Agenzia delle Entra ha pubblicato diverse risposte ad istanze di interpello (le numero 54, 73, 97, 126, 170 e 173) tutte però in tema di rapporti Italia-Svizzera o Italia-Germania.

In passato, la stessa Amministrazione finanziaria aveva chiarito, con la risoluzione n. 471 del 2008, che il meccanismo del frazionamento non può essere invocato nei rapporti tra Stati i cui trattati bilaterali non lo prevedono espressamente, in quanto si tratta di una regola specifica per risolvere i casi di duplice residenza fiscale. Pertanto, se una persona si trasferisce in Italia da uno Stato che applica il criterio del frazionamento, ma che non ha stipulato un trattato con l’Italia che lo contempli, si troverà a dover pagare le imposte in entrambi gli Stati per una parte dell’anno. L’unica soluzione possibile, in questo scenario, è quella di richiedere il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.

Di recente, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1234/2023, riguardante un contribuente che aveva trasferito la propria residenza dalla Francia all’Italia nel mese di giugno del 2022, ha confermato l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, ritenendo che il contribuente fosse residente fiscale in Italia per tutto l’anno solare – periodo di imposta 2022, non potendo invocare il criterio dello Split year previsto dal commentario OCSE, in quanto non recepito esplicitamente dalla convenzione bilaterale tra Italia e Francia.

La revisione della disciplina della residenza fiscale prevista dalla legge delega potrebbe quindi introdurre una clausola di Split year interna, che consentirebbe di risolvere le situazioni di doppia residenza fiscale nell’anno del trasferimento da o verso l’Italia, attribuendo il potere impositivo al nostro Paese per una frazione di anno e all’altro Stato per l’altra, senza la necessità di dover emendare tutti i trattati bilaterali nel network (Dipartimento Finanze – Convenzioni per evitare le doppie imposizioni) di Convenzioni stipulate dall’Italia. Questa soluzione sarebbe più conforme alla migliore prassi internazionale e ai principi di equità e proporzionalità.