La possibilità di inserire una clausola che persegue finalità diverse dalla massimizzazione del profitto nell’Atto costitutivo o nello Statuto delle società lucrative consegue il placet della prassi notarile

Nel panorama del diritto societario, si assiste a una crescente attenzione verso le tematiche della sostenibilità ambientale e sociale, che si traduce nella possibilità di inserire nello statuto societario delle clausole che esprimono ideali collettivi, valori sociali e principi etici da rispettare nella gestione della società, anche a scapito della massimizzazione dei profitti e dell’efficienza produttiva. Queste clausole sono definite “clausole di sostenibilità”.

In dottrina ci si è chiesti se fosse possibile inserire la sostenibilità, intesa come perseguimento di obbiettivi diversi dalla massimizzazione del profitto, nelle società lucrative, ossia quelle che hanno come scopo principale il conseguimento di un profitto economico.

Si premette che le clausole di sostenibilità sono diverse dalla destinazione degli utili a fini sociali, che è una pratica ammessa dalla giurisprudenza e che consiste nel devolvere una quota del profitto a enti o iniziative di interesse collettivo. In questo caso, infatti, la sostenibilità non influenza l’attività della società, ma solo la sua distribuzione dei risultati.

È intervenuto sul tema il Consiglio Notarile del Triveneto, con la Massima A.B.1, spiegando che nel nostro ordinamento non sussiste “alcuna disposizione positiva o principio di diritto che imponga agli amministratori di società lucrative di attuare l’oggetto sociale avendo riguardo al solo interesse dei soci alla massimizzazione dei profitti”, e che “al contrario, l’art. 41, comma 2, Cost. dispone che l’esercizio di una qualunque attività economica, ossia la ricerca di un profitto, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

I Notai concludono che le società lucrative possono legittimamente inserire nel loro atto costitutivo o nello statuto delle clausole di sostenibilità, ossia delle disposizioni che impongono agli amministratori di seguire dei principi etici e/o di salvaguardia degli interessi non economici coinvolti nell’impresa. Queste clausole possono limitare o orientare le scelte gestionali degli amministratori, anche a costo di rinunciare a una parte del profitto o dell’efficienza produttiva.

Le clausole di sostenibilità, pertanto, non modificano lo scopo della società, che rimane quello di lucro, ma ne definiscono le modalità di realizzazione. Si tratta quindi di una scelta volontaria e consapevole dei soci, che intendono esprimere i loro valori e ideali attraverso l’impresa. Le clausole di sostenibilità possono infatti riguardare vari aspetti, quali la protezione dell’ambiente, la promozione del lavoro e il benessere dei dipendenti e della comunità

Clausole di sostenibilità legittime anche se la società non si qualifica come “Benefit”

Nelle motivazioni i Notai precisano che le clausole di sostenibilità sono da ritenersi legittime anche in mancanza della qualifica di Società Benefit (di cui alla L. n. 208 del 2015). Infatti, la legge sulle società benefit ha lo scopo di incoraggiare la nascita e la diffusione di società che, nel fare impresa, abbiano anche obiettivi di “beneficio comune”. Questo non significa che le altre società non possano avere gli stessi obiettivi, ma solo che non possono usare il nome di “società benefit” per ottenere vantaggi reputazionali. Infatti, l’uso di questo nome è facoltativo per le società benefit e vietato per le altre, in base alle norme sulla pubblicità ingannevole del Codice del consumo.

Le clausole di sostenibilità sono quindi una possibilità offerta a tutte le società lucrative, indipendentemente dalla loro qualifica di società benefit o meno. Si tratta di una scelta legittima e responsabile, che può contribuire a migliorare il ruolo sociale dell’impresa e a creare valore per i soci e per gli altri stakeholder.

Il contenuto delle clausole di sostenibilità

Le clausole di sostenibilità devono essere redatte con chiarezza e coerenza, nel rispetto delle norme vigenti e dei principi generali del diritto societario. In particolare, per le società per azioni, esistono dei limiti che non possono essere superati dall’autonomia statutaria:

  • sul piano funzionale, il carattere produttivo dell’attività d’impresa e lo scopo lucrativo dell’iniziativa societaria;
  • sul piano endo-organizzativo, il principio di esclusività della funzione gestoria che presidia il ruolo dell’organo amministrativo nella società per azioni, il quale non è riducibile a mera attuazione di un programma predefinito che identifichi una determinata attività nei singoli atti destinati a comporla.

Sono dunque ammissibili clausole statutarie che si limitino ad innestare interessi diversi nell’ambito della funzione lucrativa tipica dell’istituto societario nella misura in cui la seconda non ne risulti sostanzialmente compromessa.

Infine, si ricorda che la prassi notarile in tema di società Benefit (Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 121-2022/I), ritiene non necessario un coordinamento tra le attività, caratteristica da un lato e benefit dall’altro, eventualmente esercitate dall’impresa, considerando quindi legittima la possibilità che l’attività benefit possa essere svolta anche in settori diversi da quelli indicati nell’oggetto principale.